Dal 28 giugno al 16 novembre 2014 si terrà a Villa Olmo la mostra del Comune di Como “Ritratti di città. Urban sceneries. Da Boccioni a De Chirico, da Sironi a Merz a oggi”, a cura di Flaminio Gualdoni. L’evento espositivo è la seconda tappa del progetto triennale del Comune che ha preso avvio lo scorso anno con la mostra “La città nuova. Oltre Sant’Elia”.
Ritratti di città presenta oltre sessanta opere attraverso un percorso che intende indagare, per la prima volta attraverso una mostra, l’incidenza dell’immagine della città moderna – tra utopia, mito e realtà – nell’arte italiana del XX secolo e del tempo d’oggi.
La mostra offre l’occasione di vedere opere mai viste o raramente esposte, perché provenienti da collezioni private. Tra queste, La città che avanza di Giacomo Balla, esposta qui per la prima volta, oltre che Via Toscanella di Ottone Rosai e Periferia di Umberto Boccioni, anch’esse quasi mai apparse in mostre pubbliche.
Più di altre culture, l’italiana è legata alla tradizione visiva del genere paesaggistico, dunque a un’idea di naturale largamente prevalente sull’immagine urbana. È solo con le spinte moderniste di fine ‘800 e soprattutto con l’avanguardia futurista che la visione urbana entra progressivamente in scena, divenendo di volta in volta il referente visivo e intellettuale di un ragionamento esteso all’idea tutta di modernità.
Dire città significa energia ottimistica, comunità dotata di un’anima e di un’identità, un progresso che allora si immagina senza limiti e confini. Significa, ancora, un modo di vita fatto di rumori anziché di silenzi, di azione anziché di contemplazione.
Il futurismo di Boccioni, Balla, Depero, Dottori, dunque, è interprete perfetto della città nuova, del suo imporsi come visione ulteriore anche dal punto di vista della struttura dell’immagine: “le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano l’orizzonte” sono, nel Manifesto futurista, il mondo nuovo. A fianco, subito, la Metafisica di De Chirico segna della sua trasognata classicità l’immagine della città, in una sorta di doppio rapporto – tra entusiasmo e resistenze culturali – con la metropoli che innerverà di sé tutto il corso del ‘900.
Il grande Novecento è dominato da un artista come Sironi, i cui paesaggi urbani incarnano le prime perplessità poetiche nei confronti della nuova condizione esistenziale: le sue sono, ha scritto Mario Botta, “architetture senza tempo che, a dispetto del programma, solo un futurista ci poteva dare”.
Da Morandi alle prove dell’aeropittura futurista, dall’astrazione geometrica in chiave architettonica, com’è in autori quali Soldati e Galli, alla visione critica e insieme poetica di autori come Mafai, Guttuso e Fiume il percorso si inoltra nel secondo dopoguerra, quando la realtà urbana è tema non coinvolgente solo le avanguardie artistiche, da Cavaliere a Spagnulo, da Merz a Schifano, da Tadini ad Adami a Rotella, ma anche quelle dell’“architettura dipinta” e della fotografia, da un lato con, tra gli altri, autori come, La Pietra, Cantafora, Ico Parisi, maestri nell’interrogare l’immaginario urbano prima ancora che nel definirne i confini possibili, e dall’altro maestri come Fontana, Basilico, Ghirri, Galimberti, grazie ai quali anche la fotografia non è più solo documento, ma interpretazione intellettuale e poetica dei luoghi.