Acque ancor agitate per le retribuzioni dei professionisti che ottengano incarichi da pubbliche amministrazioni. La Cassazione, con la sentenza in commento, ha affermato che gli enti locali possono effettuare spese solo se esiste un dettagliato impegno contabile. È stata quindi respinta la richiesta di un architetto progettista e direttore lavori che voleva essere retribuito per una struttura espositiva realizzata nell’interesse di un Comune.
L’amministrazione si è difesa affermando di aver previsto la copertura finanziaria dell’intera opera, ma di aver esaurito i fondi, avendo modificato il progetto originario. La Cassazione ritiene che questa motivazione sia sufficiente a negare il pagamento, perché l’ente avrebbe dovuto identificare le diverse voci che compongono l’opera (spese generali, tecniche, per compensi professionali…), e i mezzi per farvi fronte.
Secondo i giudici, qualora manchi la dettagliata previsione di spesa, al professionista non rimangono che due strade: o rivolgersi (in proprio) al singolo amministratore, funzionario o dipendente che ha consentito la fornitura del servizio, oppure non eseguire la prestazione.
L’orientamento della Cassazione si presta a più critiche. Anzitutto, impone al professionista un’indagine approfondita sulla contabilità del committente; inoltre, è vero che l’art. 191 del d.lgs. n. 267 / 2000 impone una rigida contabilità ai Comuni, ma è altrettanto vero che l’art. 194 della stessa norma prevede la possibilità di ottenere un riconoscimento di “debito fuori bilancio” se si accerti e dimostri che la prestazione professionale abbia arrecato un’utilità e un arricchimento per l’ente.
Inoltre esistono vari elementi di elasticità per le retribuzioni dei professionisti, quali ad esempio il contratto condizionato all’ottenimento del finanziamento: una norma del codice degli appalti ostacola le prestazioni con pagamento subordinato al finanziamento (art. 24, co. 8-bis, d.lgs. n. 50/2016).
Oltretutto, il caso deciso dalla Cassazione fa eco ad altri precedenti che non danno nemmeno rilievo a una riduzione di alcune voci nel corso dei lavori e all’innalzamento di altre, quali quelle per competenze professionali. Diventa, quindi, irrilevante che l’ente abbia reperito le risorse per pagare il professionista con dei risparmi in corso d’opera (peraltro, probabilmente ottenuti grazie all’impegno proprio del progettista direttore dei lavori).
In sintesi, l’orientamento della Cassazione è improntato ad assoluta rigidità a tutela della finanza locale, giungendo addirittura a escludere la possibilità che il professionista ottenga dal giudice il riconoscimento di un indebito arricchimento dell’ente locale. Altre volte, invece, proprio attraverso il riconoscimento dell’utilità conseguita dall’ente locale, si è ottenuta una delibera di pagamento, seppur per debito fuori bilancio e quindi con il rischio di giudizi di responsabilità contabile per i pubblici amministratori.
Bisogna, comunque, precisare che la sentenza de qua si riferisce ad un servizio affidato ante Codice dei Contratti Pubblici. Oggi le amministrazioni devono indicare, nei bandi per i servizi di architettura ed ingegneria, sia le risorse già accantonate con cui sarà remunerato l’aggiudicatario, sia il calcolo dettagliato dei compensi, redatto secondo il d.m. parametri. Con ciò rendendo, di fatto, quasi impossibile che manchi la “dettagliata previsione di spesa” richiesta dalla Cassazione.
L’unica casistica in cui c’è ancora la concreta possibilità che si verifichi quanto fin’ora descritto è rinvenibile negli affidamenti diretti. Pertanto, l’appello che si rivolge a tutti gli architetti e gli ingegneri, che si trovino affidatari diretti di un appalto, è di stare attenti agli impegni di spesa che gli enti locali devono indicare negli atti di affidamento, nonché a verificare che siano indicate in modo dettagliato le voci di spesa spettanti al professionista.
Avv. Riccardo Rotigliano
Fonte: Fondazione Inarcassa.